di Marco Martinolli
Istituto Comprensivo Divisione Julia –Trieste
Le strade erano sempre più affollate.
Erano le sei di mattina, e tutti i minatori, nonostante il sonno e la stanchezza, iniziavano già a protestare contro i primi poliziotti in arrivo. Nell’aria si respirava umidità e si sentiva una fredda brezza proveniente da Ovest. L’orizzonte era dipinto dai primi raggi del sole, che incominciava pian piano a farsi spazio e a imporre la sua luce abbagliante sulla piccola cittadina.
Mi ero appostato su un tetto, per osservare meglio la battaglia, nonostante l’aria pungente mi sferzasse le guance. Non che sia un ragazzo curioso, anzi, di solito preferisco farmi gli affari miei.
Quel giorno però era diverso: mio fratello Tony si era precipitato fuori di casa sbattendo la porta, senza un saluto, senza neppure aver trangugiato il solito caffè doppio.
Ho incrociato per un attimo il suo sguardo: era infiammato da un ardore violento, profondo, sconosciuto. Certo, Tony è sempre stato una testa calda, ma quel guizzo nei suoi occhi nascondeva una rabbia che non riconoscevo.
Col passare del tempo, la folla e la polizia si confondevano, si gonfiavano, riempiendo le strade, fino a quando la situazione non è diventata insostenibile.
Un lungo fiume umano inondava impazzito le vie e la piazza. Uomini e donne lanciavano uova e pomodori contro i furgoni dei loro compagni che si erano già arresi e si apprestavano, col capo chino e lo sguardo colpevole, a raggiungere la miniera. In alto venivano sventolati cartelli di protesta e i poliziotti, armati di manganello e scudi anti‑ sommossa, cercavano di ritrarre la folla, sempre più
nervosa e violenta, che, nonostante tutto, non accennava a ritrarsi.
Cercavo disperatamente in quei volti accesi gli occhi scuri, spesso imbronciati, di mio fratello. Scorrevo rapidamente le sagome in movimento, spostandomi a mia volta dal tetto alla terrazza sospesa sulla via principale.
Mio malgrado, ero spettatore, da un’insolita galleria, di un atto unico, senza intervalli e, ne ero certo, senza un lieto fine.
L’avevo detto a Tony di lasciar perdere … O almeno avevo provato a trattenerlo. Ma un ragazzo non può contenere la furia di un uomo che segue ostinatamente i propri ideali.
Io non sarò mai come Tony, non mi farò ingoiare dalle viscere di una terra avara, io volerò in alto, sì, danzerò leggero, nonostante l’odio, nonostante tutto. Non mi farò mettere con le spalle al muro. Fuggirò lontano a passo di danza. La violenza non mi avrà mai.
Come tutti, Tony faceva la sua parte e lottava per la causa che ogni manifestante aveva nel cuore e sosteneva con coraggio. A un certo punto, quel gran caos si trasformò in una guerra: i poliziotti iniziavano a contrattaccare, prendendo a manganellate chi cercava di avventarsi su di loro. Cercavo di seguire Tony tra la folla. Che sciocco! Pensavo che il mio sguardo potesse in qualche modo
proteggerlo dall’alto. C’era anche mio padre tra gli scioperanti. Che stava succedendo? Papà grida qualcosa e d’un tratto i poliziotti lo aggrediscono con i manganelli.
Urlo anch’io dalla balaustra, come se potesse servire a qualcosa. Come sempre io sto in cielo e Tony in terra.
Tocca sempre a lui affrontare la vita di petto.
Non ci pensa due volte: a testa bassa entra nella mischia e placca un poliziotto, facendolo rovinare a terra. Schiuma di rabbia, mentre gli sferra una scarica di pugni in pieno viso.
In breve tempo è circondato. Come un animale braccato, schizza nella direzione opposta.
Corre senza voltarsi, corre in quel fiume di gente, corre come il vento prima della tempesta.
Corro anch’io, sui tetti, corro seguendo un filo di speranza.
Tony ha superato un muretto. Finalmente si volta per controllare. Poi riparte attraversa rapido un cortile, una casa. Spacca il vetro di una finestra con un calcio. È ferito.
Nonostante tutto continua a correre: doveva resistere, doveva combattere, non doveva mollare mai … MAI!
Me l’aveva sempre ripetuto, che non avrebbe mai abbandonato la lotta. Nessuna causa è persa finché c’è un solo folle a sostenerla … per questo doveva continuare.
La corsa a ostacoli non ammetteva tregua: cortili, tetti, giardini. Ormai Tony correva alla cieca, dietro di sé lasciava tracce di sangue, ma a lui non importava: doveva soltanto correre. Sfilava come un fantasma tra le lenzuola bianche stese al sole. I poliziotti si avvicinavano sempre di
più. Ma lui correva, correva ancora, come un fulmine.
Raggiunge una piazzetta. Non avverte più i passi degli stivali, si volta, non vede nessuno: forse ce l’aveva fatta, forse aveva vinto lui …
Ma il destino aveva altri piani e un altro poliziotto era in agguato. L’ansia era al massimo, la si leggeva sugli zigomi contratti. Si trovava senza vie di fuga, come un pesce in una rete. “Non farlo, Tony …” L’eco non l’aveva raggiunto.
Sapevo che nel giubbotto teneva il serramanico.
“Non lo userò”, diceva tenendo gli occhi a terra. È la lama che ci usa. Lancia il suo invito senza preavviso e ti taglia in due la vita.
Tony affonda il coltello oltre la divisa del suo avversario.
Assesta un colpo netto, senza tremare.
Quando vede il sangue nero sgorgare da quel petto gonfio, comprende di essere davvero in trappola. Leggo lo smarrimento nei suoi occhi.
Corre via … Io invece rimango sospeso a cercare un perché.
Ognuno deve scontare la propria pena. Anch’io sconto la mia. Certo, ho realizzato un sogno: vivo danzando.
Sono Billy Elliot, il famoso ballerino classico che emoziona le platee di tutto il mondo.
Certo, spicco il volo leggero, ma nel mio petto il cuore è sempre più pesante.