di Gaia Simonetto
Istituto Comprensivo Cividale del Friuli
La mia storia inizia con il fuoco.
Credetemi se vi dico che non c’è niente di divertente a nascer lama: caldo, freddo, martellate e di nuovo caldo e freddo: una vera tortura.
Sono nata a Maniago, in provincia di Pordenone, su un battiferro presso una roggia la cui acqua proveniva dal torrente Colvera agli inizi del quindicesimo secolo. Ero una lama innovativa per quel tempo, assomigliavo ad un pugnale dalla forma allungata, una cosa mai vista prima. Mi creò Secondo, il secondogenito di un fabbro, conosciuto da tutti per la sua gentilezza e per la sua numerosissima famiglia. Aveva ben cinque figli maschi e due femmine. Li amava più di quanto amasse lui stesso e il suo sogno era quello di veder fiorire la sua attività con a capo i suoi figli.
Quando nacqui era molto vecchio e malaticcio e, arrivata la sua ora, lasciò in eredità a Primo, il primogenito, la sua piccola bottega; egli tuttavia non si era mai appassionato al mestiere del padre.
Secondo invece aveva quella scintilla negli occhi quando si parlava di forgiare, creare, inventare…
Primo non volle cambiare nulla nella sua fucina continuando con costanza il lavoro del padre. Aveva intenzione di forgiare gli stessi oggetti tradizionali con il medesimo stile di lavorazione, mentre Secondo aveva un sacco di idee innovative, nuovi modi di forgiare le lame, di espandere l’attività, così, per fargli cambiare idea, mi mostrò con orgoglio come esempio.
A Primo non piacevo, appena mi vide arricciò il naso come se avesse annusato un piatto di pesce marcio e disse:
“Non ci pensare nemmeno fratello, non cambieremo il nostro modo di lavorare per un tuo stupido capriccio.”.
Ero a suo parere “sbagliata” ma Secondo lo pregò in ginocchio dicendo:
“Se alla gente piacesse questo tipo di lavorazione? Saremmo gli unici a produrli e la nostra fama si estenderebbe in tutto il paese!”. E così mi esposero al mercato assieme ad altri coltelli ed utensili. Credo che sia stato uno dei periodi più noiosi della mia vita, rimasi per tredici lunghissimi anni ad aspettare che mi comprassero, circondata da ferri di cavallo e falci. Fiera dopo fiera, mercato dopo mercato, attesi. Finché un giorno improvvisamente la mia vita cambiò drasticamente. Un uomo cattivo approfittò di un momento di distrazione di Primo e mi rubò. Ebbi modo, purtroppo,di conoscerlo per anni, era un furfante, rubava e beveva ed ogni volta che ne aveva l’ occasioni prendeva parte alle risse per “divertirsi”. La sua frase preferita era: “O stai zitto di tua spontanea volontà, o ti zittisco io con questo!…” e finita la frase, mi estraeva dalla tasca per intimorire i presenti.
Quel brigante faceva paura pure a me, le minacce non le urlava ma le sussurrava con un ghigno terrificante.
Mi sentivo un criminale, passavo di villaggio in villaggio, terrorizzandone gli abitanti e minacciando chiunque ci sbarrasse la strada; non dimenticherò mai le urla della gente e il pianto dei bimbi quando mi vedevano assieme a quel bandito.
Ero caduta proprio in basso ed ero stufa marcia di quella vita da criminale, così mentre il brigante pensava alle prossime rapine io pensavo alla fuga.
Con precisione pianificai tutto, non mi rimaneva altro che pazientare; la mia occasione sarebbe arrivata.
Finita l’ennesima scorribanda, mentre si dava alla fuga di soppiatto gli scivolai dalla tasca restando in bella vista sul luogo del delitto. Il brigante non trovandomi tornò indietro per cercarmi ed in quel piccolo lasso di tempo, riuscì appena a raccogliermi, mandando in fumo il mio piano di fuga, e venne acciuffato dai gendarmi.
Alla fine, dopo aver attraversato mezza Europa combinandone di tutti colori finimmo in prigione in attesa di giusto processo.
Non ero mai entrata in un tribunale e non avevo neanche mai assistito ad un processo. Ma non era così per il brigante fuorilegge.
Durante tutto il processo venni chiamata “il corpo del reato”.
Il brigante venne dichiarato colpevole; scalciando e urlando a squarciagola venne condotto in prigione, non lo rividi più.
In quanto a me il giudice disse che non avrei più dovuto nuocere a nessuno e pertanto mi condannò ad essere fusa.
Per dura che potesse sembrare la sentenza era giusta; io stessa non volevo più fare la vita della delinquente, anche se mi dispiaceva essere fusa di nuovo, almeno non avrei più fatto del male a nessuno.
Rassegnata alla mia sorte venni caricata su un carro assieme ad altri oggetti destinati alla fonderia.
L’ufficiale delle guardie del Tribunale fece fermare il carro per una veloce ispezione.
Nel mezzo di tutto quel materiale venne colpito dalla mia forma particolare, mi prese in mano e, senza staccarmi gli occhi di dosso, disse al conducente del carro: ” Ti pagano tanto per questo lavoro?” Il carrettiere rispose tristemente: ” Poco e niente, signore,e a casa ho cinque bocche da sfamare!
L’ufficiale diede due monete d’oro al poveretto e mi mise in tasca dicendo: “Tieni, per la tua famiglia! Questo coltello mi piace e lo tengo!”.
L’ ufficiale mi portò a casa sua, una casa molto bella e ben ammobiliata, un sogno per me, salutò una signora dai capelli striati di grigio, sua moglie, e un giovane dall’aspetto gentile, suo figlio.
Poi aprì la porta di quello che probabilmente era il suo studio, si sedette sulla scrivania e mi rigirò tra le sue grandi mani callose. Ero proprio ridotta male: il filo era tutto sbeccato ed il manico in noce, il mio vanto, era corroso e rotto in più punti. Con il tempo e molta dedizione mi rimise a posto ma solo dopo un anno circa dal processo, l’ufficiale mi tolse il manico per sostituirlo con uno nuovo fatto su misura per me. Devo ammettere che rimasi sbalordita pure io, in un piccolo angolino prima coperto dal manico c’era una incisione: SECONDO-MANIAGO. L’ufficiale assieme a suo figlio, che si stava appassionando alla misteriosa storia di quell’oggetto, fece i salti di gioia, avrebbero potuto fare delle domande al mio creatore sulle sue innovative tecniche di forgiare le lame. Visto che lui era molto vecchio, il compito passò al figlio che intraprese il lungo viaggio a ritroso, rischiando più volte la vita. Quando finalmente arrivò a Maniago, chiese a molte persone se conoscessero costui senza ottenere alcuna risposta. Ormai aveva perso ogni speranza, si sedette sconfitto sul ciglio della strada e, proprio in quell’istante alzando gli occhi, vide di fronte a sé un negozio con esposti sul bancone coltelli simili a me. Dunque, incuriosito si avvicinò e incrociò lo sguardo con un anziano signore che io riconobbi subito come il mio creatore Secondo, ormai vecchio e raggrinzito. Con un misto di commozione e autentico stupore il vecchio disse:
“Quel coltello è mio! È quello che mi venne rubato anni or sono!” Il figlio dell’ufficiale esausto ed entusiasta rispose:
“Ho intrapreso un lungo viaggio per cercare risposte alle domande mie e del mio vecchio padre, se lei è davvero il creatore di questo coltello sarebbe disposto a raccontarmi la sua storia in cambio della mia?”
Secondo acconsentì con un cenno del capo. Rimasero a lungo a parlare delle mie avventure, belle o brutte che fossero.
Tra i due nacque una sincera amicizia che continuò anche quando il giovane ritornò in patria con numerosi, raffinati e innovativi pezzi di Secondo. Da qui partì il commercio della coltelleria di Maniago anche fuori dai confini friulani. Ben presto la fama della qualità ed eleganza del marchio di SECONDO-MANIAGO divenne famoso in buona parte dell’Europa e le ordinazioni di coltelli, spade e forbici divennero fiorenti.
Queste continuano tuttora anche se pochi ormai si ricordano di me e della mia straordinaria storia. A proposito, io ora ho cinquecentosessantatre anni e vivo la mia vecchiaia assieme a tanti miei fratelli minori, nati da altre idee e sperimentazioni presso il museo della famosa ditta dei discendenti di Secondo. Se vorrete vedermi sarò lieta di fare la vostra conoscenza a casa mia. A presto. La lama SECONDO-MANIAGO.