Una morte all’improvviso
Anna Chiara Vigna
Il sole sta scomparendo dietro le montagne quando percorro la deserta via che mi conduce nella casa del mio amico o di quello che gli altri credono essere la persona a cui io tengo di più, vista la riluttanza con cui sono solito condividere gli aspetti della mia vita con la mia famiglia adottiva.
Chi sono? Nessuno mi conosce e questa è la mia forza. Un’altra ora è scoccata.
Un venticello primaverile mi scompiglia i capelli mentre faccio roteare in aria, con estrema attenzione, un coltello rubato nella casa della mia prossima vittima l’ultima volta che ci sono stato. La lama brilla, colpita da un raggio di sole… ma non sarai tu, lama, a perpetrare la mia vendetta, non questa volta!
Arrivo alla meta e suono il campanello così familiare e, nel momento in cui la madre di Greg apre la porta, assumo quell’espressione innocente che tanto mi fa apprezzare.
Sento l’olio friggere in cucina quando mi invita ad accomodarmi vicino a Greg per la cena . Con attenzione, estraggo l’arma che ucciderà il mio amico, la lama trattiene un lieve odore di mandorle, e la sostituisco al coltello che sta a Iato del piatto di Greg.
Servita la carne Greg, ignaro, taglia il suo pezzo e io riesco a stento a trattenere un sorriso maligno: quel gesto all’ apparenza banale sta a significare l’imminente riuscita del mio diabolico piano, il mio trionfo. I fatti si susseguono rapidi: appena Greg inghiotte un boccone di quel delizioso pasto cade a terra, così, senza un grido. La madre urla, lo chiama, il padre è immobile, attonito, pallido… fingendo una frenesia, un’ansia, che davvero non avverto, corro al telefono e chiamo l’ambulanza. Nessuno sospetterà: di me. I soccorsi arrivano ma è troppo tardi: tutto è come avevo progettato.
Pochi giorni dopo l’omicidio la scientifica rende noti i risultati dell’ autopsia. La verità vede la luce: avvelenamento da cianuro.
Incredulità, sbigottimento. Chi? Perché? Non c’è movente. Ad avvelenare Greg è stata forse la madre, affetta da disturbi mentali, dipendente da potenti psicofarmaci, quella madre così strana, così evanescente? Mistero.
Anche questo caso resterà irrisolto. Ai funerali non mi presento. Ne attribuisco la colpa ad un’ influenza che mi tiene a letto tutta la giornata. La verità è che, pur non avendo il minimo rimorso, non ho il coraggio di affrontare la gente che ora vuole la condanna dell’ assassino. Quell’angoscia, quel senso di vuoto che da anni mi tormenta, non mi dà tregua, neanche stasera. Dopo ogni omicidio è solo momentanea la gioia che avverto nel provocare tanto dolore. La sera, come altre sere, mi accovaccio nel letto e cerco conforto nel buio. Sono un demonio, sono un assassino. L’ennesima morte non placa il mio rancore, non lenisce il mio strazio. Ovunque intorno a me si diffonde tristezza: non c’è famiglia in questo paese che non annoveri un lutto. La mano ignota che vent’anni fa, con un coltello da macellaio, uccise i miei genitori naturali rendendomi orfano e che è rimasta impunita, continua a tormentare i miei pensieri.
E non trovo pace nel dolore che reco a tutti.