RACCONTO SEGNALATO
Valentina Pin
Liceo Duca Degli Abruzzi – Treviso
Un altro universo è possibile
Voltò a destra e si ritrovò a dover compiere la grande salita che tra le numerose strade blu e rosse del braccio sinistro, sembrava sempre infinita. Per il bambino ormai era solito questo sali e scendi continuo, ma perché dove viveva lui, prima o dopo, tutti si sarebbero dovuti abituare. Ogni giorno girava a destra all’altezza della spalla sinistra, continuava dritto, ovviamente facendo sempre molta attenzione, e si ritrovava nella aggraziata mano dove vi era un uomo che costantemente lavorava il legno. Il bambino ravvisava qualsiasi oggetto di legno all’interno di quella bottega e ne sapeva anche la sua funzionalità perché parlare con quel signore lo affascinava molto. Si domandava, però, ogni volta che varcava la soglia d’entrata, che cosa ci facesse in un laboratorio interamente di legnami, una forbice da tessitore. Non si trattava di una semplice forbice, anche perché se così fosse stato, l’uomo non se la sarebbe portata ovunque; era molto piccola, entrava nelle sue tasche e aveva soltanto un piccolo anellino dove poterci infilare un solo dito. Era d’argento, indistruttibile; la cosa che più la rendeva unica era che sotto la lama superiore, quella che ogni volta vedendola la faceva apparire “normale”, si nascondeva una chiave intagliata. Questo il bambino lo aveva scoperto anni prima quando accidentalmente la forbice era caduta dalla tasca dell’uomo, e facendo un metallurgico rumore, aveva lasciato intravedere la parte più affascinante di sé stessa.
Quindi, di conseguenza, da quel momento ogni volta che entrava in quella bottega le domande divennero due:” Che cosa ci faceva una forbice da tessitore in un’officina di legname?”, ma soprattutto:” Cosa ci faceva quell’uomo con una forbice da tessitore dove la lama inferiore era stata intagliata in una chiave?”. Passando molto tempo con l’uomo, il bambino si rese conto di quanto fosse meraviglioso. Gli piaceva stare ad ascoltarlo ma le sue parole gli sembravano vuote, come se nella sua testa non vi fossero sentimenti; questo faceva stupire ogni volta il bambino perché lui, le emozioni, le sentiva. Un giorno il bambino camminando, trovò il posto che da sempre stava cercando oppure il posto che da sempre stava cercando il bambino. Chissà cosa c’era dietro a quella imponente e sigillata porta di legno d’acero. Inizialmente il bambino si senti in soggezione, ma sapeva che la chiave che avrebbe aperto quella porta, gli apparteneva. Ne parlò con l’uomo della bottega di legname ma lui non capì, non voleva capire. Il bambino gli chiese se per caso fosse in possesso di una sua chiave magari persa nei lunghi pomeriggi passati con lui. L’uomo non rispondeva ma teneva la mano dentro alla tasca destra dei pantaloni grigi come se stesse nascondendo qualcosa. Che cosa teneva da sempre nella sua tasca destra dei pantaloni? Fu allora che il bambino capì. L’uomo sapeva della porta, lui aveva la chiave.
Il bambino senti una forte rabbia salire sempre di più dentro di lui ma riuscì ugualmente a far credere all’uomo di fidarsi delle sue parole.
Il bambino però non se ne dimenticò. Aspettò mesi il momento giusto ma alla fine un giorno l’uomo lasciò su un basso tavolino la forbice da tessitore tanto desiderata. Il bambino si precipitò a prenderla; erano solo lui e la chiave. Quando si rese conto del rapimento, l’uomo si precipitò alla porta dove era certo vi fosse anche il bambino. Quando arrivò però, la chiave era già stata infilata. Non dissero nulla, ma guardarono assieme la forte luce violetta chiaro che si intravedeva dall’orlo della porta. Proveniva da un oggetto molto strano simile ad una corda gommosa intrecciata e compressa dentro ad un vaso di vetro ovale. Non capendo il bambino volle avvicinarglisi. L’uomo cercò di afferrarlo per un braccio perché sapeva bene che se avesse soltanto fatto un passo, sarebbe precipitato. Ma era troppo tardi e i due atterrarono nel “Paese del cervello”.
Era tutto a colori! Iniziò a camminare, ad avere voglia di scoprire. Dopo anni di puro buio, la luce. Vide i bambini giocare nel cortile di una scuola ed esserne felici e si domandò perché quando c’era lui in quel cortile non fosse mai riuscito a ridere. Vide i fiori per terra, li vide colorati, riuscì a dare una forma alle nuvole… Immaginò che vi fosse una moto rossa che sfrecciava per tutto il cielo, un grandissimo gelato e un bambino, molto simile a lui, ma felice. Tutto questo, ad un certo punto fu interrotto da punto di luce abbagliante. L’uomo non poté fare a meno di seguirlo… Le gambe iniziarono a correre sempre più veloci, fino a quando la luce si fermò. Ci fu un momento dove i due si guardarono con sguardi profondi fino a quando l’uomo non si rese conto che quegli occhi blu inteso, fossero del bambino. In quel momento caddero. Si trovarono questa volta in una stanza buia con un lungo corridoio illuminato una luce rossa… Il bambino e l’uomo, molto curiosi, iniziarono a percorrere quella lunga strada sempre più rossa fino a quando il corridoio si aprì in una grande sala dove si sentiva un rumore simile a questo: bum-bum-bumbum. L’oggetto da cui provenivano questi suoni potrebbe essere paragonato a una pompetta d’aria per gonfiare un palloncino che si gonfia e si sgonfia sempre con lo stesso ritmo e senza fermarsi mai perché è grazie a lei se il palloncino continua a crescere. Il bambino e l’uomo iniziarono a girarci attorno. Intravidero il legno d’acero dove al centro vi era una piccola serratura. Ovviamente il bambino si afrettò a prendere la forbice da tessitore che aveva chiuso con la cerniera nella tasca del suo giubbotto.
Questa volta volle aprire la porta l’uomo il quale non infilò la parte della forbice dove vi era intagliata la chiave, ma introdusse nella serratura la lunga lama.
La porta si spalancò ed ecco di nuovo il buio. I suoi occhi ricominciarono a vedere soltanto blu e nero. Vide un grande cartello con scritto “Paese del erouc”.
C’erano gabbie ovunque dove al loro interno erano raggomitolati dei piccoli animaletti. Sembrava che avessero accettato di non poter più assaporare la libertà dopo anni di lotta. L’uomo riconoscendoli urlò i loro nomi; sperava di farli ricominciare a lottare. Quando udirono il suono della sua voce iniziarono ad agitarsi e a ringhiare, come se a rinchiuderli dentro a quelle gabbie, fosse stato l’uomo. Tutte, anche la felicità, quella che ad un tempo era stata la migliore amica che potesse desiderare. Il bambino iniziò ad indietreggiare spaventato; l’uomo lo seguì e mentre corse vide tutti gli occhi nelle gabbie fissarlo trafiggendolo con lo sguardo. Sentì dei fitti dolori in tutto il corpo. Erano talmente forti che lo fecero cadere a terra, urlare e infine addormentare. Quando si svegliò, l’uomo si trovò con la forbice da tessitore in mano. Vicino a lui c’era il bambino che entusiasta non vedeva l’ora di scoprire cosa si nascondeva questa volta, dietro alla porta. Era felice, non cercava più di scappare, come se non si ricordasse delle terribili immagini di quelle gabbie, permanenti invece nella mente dell’uomo. Il bambino incitò il suo amico ad infilare la chiave nella lucente serratura; non gli venne nemmeno in mente che la porta potesse essere aperta da quell’oggetto che la maggior parte delle volte taglia, distrugge. Una porta si apre con una chiave non con una lama.
Ed ecco di nuovo i colori. L’uomo rivide il cartello che aveva visto poco prima in nero e in blu e lesse “Paese del cuore”.
Le gabbie erano scomparse… Improvvisamente un fascio di luce, gli venne incontro da grande distanza. Più si avvicinava più la riconosceva. Era la sua più grande amica: la felicità. Lo abbracciò fino a scomparire dentro di lui; non era arrabbiata. Dopo di lei arrivarono l’amore, la speranza, la modestia, l’ottimismo, la tranquillità che resero felice l’uomo. Dopo di loro arrivarono anche la rabbia e la tristezza che lo fecero arrabbiare e piangere, ma dentro di lui c’era talmente tanta confusione in quel momento, che quelle amare lacrime si mischiarono ad una dolce risata che si trasformò in rabbia e subito dopo in allegria. Era talmente bello per l’uomo riuscire a non sentirsi vuoti. Ad un certo punto intravide per la seconda volta quella familiare e attraente luce. Più vicino era e più iniziava a sentirsi incompleto come se la propria metà fosse quel bagliore, quel bambino. Era quasi riuscito raggiungerlo quando per la terza volta, caddero. L’uomo si lasciò trasportare e non ebbe paura perché affianco a lui, che gli teneva la mano, c’era il bambino. Ad un certo punto si trovò la mano vuota, senza nessuno da trattenere con sé.
Quando l’uomo riaprì gli occhi si ritrovò in un corpo puro che trasmetteva voglia di ricominciare. Era un corpo diverso. Si alzò e iniziò a camminare con molta accuratezza. Girò molte curve, percorse molte salite e molte discese fino a quando non si trovò vicino ad una stanza tutta rossa dove sentì quel rumore che tanto lo affascinava, simile a questo: bum-bumbumbum. L’uomo si trovava nel corpo del bambino, ma quel cuore era anche il suo.