LA STESSA LAMA

PRIMA CLASSIFICATA

CIAMPA EVA

IC TORRE- PORDENONE

 

 

 

LA STESSA LAMA

 

Ania corre, corre veloce, sulla strada per la scuola elementare.

I suoi occhi però non corrono insieme a lei, rimangono a fissare i ricordi di quando frequentava quella scuola e non si preoccupava della morte.

Si ricorda di quelle tante volte che i suoi genitori si dimenticavano di andarla a prendere a scuola. Si ricorda della panchina in cortile dove si sedeva con gli spartiti in mano cantando insieme a suo fratello. Si ricorda di come era bello non essere giudicata subito. Il passaggio dalle elementari alle medie cambia tutti. Nessuno escluso. E tutti, tutti i ragazzi alle medie sanno giudicare. E riescono a far male.

Oltrepassa la fermata dell’autobus e si addentra in una stradina tortuosa piena di case vecchie, tutte visibilmente abbandonate, con l’ edera che si arrampica su di esse fino al tetto, l’erbaccia e la sterpaglia in ogni giardino, le piante delle rose che sono appena sbocciate, i tulipani cresciuti da soli di ogni colore.

Lo sguardo di Ania si sofferma sui tulipani viola, quelli che aveva regalato a sua madre insieme al biglietto per la Festa della Mamma che aveva preparato a scuola.

La ragazza si siede per riprendere fiato all’ombra di un albero e osserva di nuovo i tulipani viola.

Ricorda la delusione provata nel consegnare a sua mamma il cartoncino e i fiori. La donna aveva preso in mano il foglio piegato a metà leggendo con poca attenzione la scritta luccicante sulla parte frontale del biglietto e, senza neanche aprirlo, lo aveva buttato nel cestino dirigendosi verso la bottiglia di vino posata ai piedi del divano.

Tutto l’impegno che aveva dedicato per la creazione del biglietto raffigurante mamma e bambina felici, era stato sprecato. Il giorno dopo Ania aveva trovato i tulipani ormai appassiti sul tavolo della cucina.

La madre non si era neanche preoccupata di capire perché avesse scelto i tulipani. Non si era neanche lontanamente immaginata che sua figlia avesse visto la foto dentro il suo cassetto di lei da giovane, in Olanda, con in mano un tulipano viola. Non aveva nemmeno pensato al significato dei tulipani. “L’amore vero”,

Ania stringe con rabbia il manico del coltello da cucina che ha tenuto in mano fino ad ora.

Come ha fatto a resistere per quattordici anni in quella famiglia?

Per suo fratello. Ma ora non sarebbe stato facile vivere senza di lui. Ania ha perso il suo gemello, il ragazzo con cui condivideva l’anima.

Il ragazzo nato con lei e che sarebbe dovuto morire con lei: se lo erano promessi da piccoli. Una promessa stupida che lei aveva deciso di non rispettare. AVEVA.

 

La prima media ha distrutto tutti e due.

Non erano più una cosa sola.

Come se un uomo che vede perfettamente, da un giorno all’altro diviene cieco da un occhio e tutte le cose non sono più nitide come prima. Come se Dottor Jekyll e Mr. Hyde non fossero più la stessa persona.

Non parlavano più; quando succedeva si arrabbiavano subito. Ognuno trascorreva la giornata come se l’altro non esistesse,

La ragazza fissa il coltello stretto che impugna così forte, tanto che le nocche sono diventate bianche. Si alza e inizia a correre.

Passa accanto a un fiume e guarda l’acqua. L’acqua è limpida, l’acqua corre veloce, come lei. Ma l’acqua non guarda il passato, all’acqua non gliene importa di quante persone sono affogate a causa sua. Lei continua a correre in rivoletti che saltano, si mischiano, si perdono, si ritrovano. Lei è felice. Lei gira il mondo e vede cose che nessuno può vedere.

Ania, come d’istinto, si mette a cantare le note della Moldava, che era anche una delle canzoni preferite di suo fratello.

La ragazza pensa all’acqua a cui non importa niente se non di sé stessa, e non si accorge neppure che anche dai suoi occhi sgorgano delle lacrime.

Se avesse avuto dei genitori ‘normali’ suo fratello non sarebbe morto. Se loro non si fossero arrabbiati, suo fratello sarebbe ancora con lei.

Ania sa benissimo che se avessero continuato a parlarsi, lui avrebbe resistito.

La ragazza inizialmente si sentiva in colpa per la morte di suo fratello ma poi aveva fatto delle scoperte.

Veniva preso in giro perché gli piaceva una ragazza che non avrebbe mai potuto ricambiarlo, che a scuola tanti lo deridevano perché un compagno di classe aveva trovato le registrazioni sul suo cellulare in cui lui cantava. Uno dei motivi per cui la ragazza lo considerava una femminuccia e per questo non lo ricambiava era proprio il fatto che a lui piacesse tanto cantare, con quella sua voce ‘bianca’. Lo chiamavano “sfigato”. Ecco, sfigato. Una parola detta a caso. Quante volte Ania e le sue compagne avevano chiamato un ragazzo “sfigato”? Lei non aveva mai pensato a come si sarebbero potuti sentire. Anche se, in fondo, un po’ ci soffriva a chiamarli così.

Questo è quello che intendo con “le medie cambiano tutti”.

Ania, alle elementari, non avrebbe osato dare dello sfigato a nessuno. E lei, però, non lo faceva per essere uguale alle altre, per far parte del gruppo, come direbbero gli adulti. Gli adulti spesso pensano di riuscire a capire i ragazzi perché “sono stati ragazzi anche loro” ma ora non Io sono più. È

 

questo il punto. Non possono capire tutto di noi ragazzi, perché loro hanno vissuto un’altra adolescenza, e ogni generazione è diversa.

Ania lo fa perché perché ora, solo così si sente più forte degli altri, a volte addirittura migliore degli altri, e lo deve fare perché quando torna a casa si sente invece così fragile; ma questo non lo ammetterebbe mai.

Aveva scoperto che il migliore amico di suo fratello lo aveva picchiato davanti a tutti, senza un motivo preciso, forse per non far vedere agli altri che invece a lui ci teneva molto; e poi tanti altri futili motivi che ad un’altra persona avrebbero forse dato un leggero fastidio, ma in lui avevano provocato una disperazione profonda. Come se il ragazzo fosse in mezzo a un tornado che lo stava portando via.

Ania correndo, guarda il coltello che ha in mano ancora sporco di sangue di suo fratello.

La ragazza corre ma non si rende conto di dove metta i piedi. Lei riguarda la scena straziante impressa ormai nella sua mente di quando, questa mattina, ha dovuto forzare la porta del bagno perché suo fratello l’aveva chiusa a chiave e non ne usciva più. Dopo averla forzata, aveva visto il sangue colare ancora caldo sulle piastrelle azzurre, sulla felpa verde scuro con la zip bianca di suo fratello, sui suoi jeans con tante tasche, quelli che vanno di moda in questo momento.

Ania si era buttata su di lui prendendo la testa del ragazzo nel suo grembo, accarezzandogli i capelli neri e lisci, guardando la sua bocca perfetta aperta in una piccola fessura da dove usciva un rivolo di sangue; e quei suoi occhi sbarrati, a cui non aveva mai attribuito un colore preciso.

Aveva lo sguardo di chi ha appena visto qualcosa di inaspettato, ma di incredibilmente bello, come le feste a sorpresa nei compleanni.

Come aveva potuto abbandonarla? Come aveva osato gettar via la sua vita? Come aveva potuto spezzare la sua vita e quella di chi gli stava accanto con una semplice lama di un coltello da cucina?

Quella stessa lama che ora lei ha in mano.

Ania ora è curiosa di provare quella stessa sensazione di felicità che aveva intravisto sul viso di suo fratello.

Ora è arrivata alla sua destinazione.

Quella piccola collina dove cantavano insieme a squarciagola quando erano alle elementari, dopo la scuola.

Prende il coltello con due mani e se lo punta allo stomaco.

Guarda di nuovo il sangue ormai secco sulla lama. Il suo stesso sangue. Pensa alla faccia che farà sua mamma quando vedrà suo figlio morto nel bagno e quando la polizia le annuncerà che anche l’altra figlia si è suicidata. Piangerà?

Ania ha sempre pensato che si piange per una persona che muore solo se la si conosce.