TERZA CLASSIFICATA EX AEQUO
BOVO ROSSANA
ISS “Leopardi Majorana” Pordenone
17 agosto 2013
Gastaldo 17 agosto 2013
Il mio nome è Manuel e oggi compio sedici anni. Fra una trentina d’anni ritroverò queste pagine sparse e capirò davvero chi sono e dove sono arrivato. Perché io ci credo. Credo che un giorno me ne andrò da questa sudicia periferia fatta di mura di cemento che nascondono il sole e trasudano caldo e disperazione. Credo che un giorno non dovrò più indossare pantaloni con il cavallo basso, Globe, cappellini con la visiera e le lenti a contatto al posto degli occhiali, ma potrò camminare per strada a testa alta come gli uomini in giacca e cravatta che si vedono nei film. Credo che non dovrò più fumare Marlboro rosse che graffiano la gola e non dovrò più farmi per stare con la mia gente, che poi non è davvero la MIA gente, è solo della gente. Credo che un giorno non servirà più riempire di botte quelli considerati “sfigati” e non dovrò più fare palestra, che tanto non serve a niente, che tanto mio padre mi usa come sacco da boxe comunque. Credo che un giorno potrò mostrare a tutti la mia intelligenza, i miei voti e i libri che nascondo nell’armadio senza avere più paura di essere chiamato “secchione” e di prendere ancora più botte. Credo che un giorno non dovrò avere una ragazza solo perché fisicamente bella, ma perché ha una mente che mi affascina. Una ragazza come Alice. Sarebbe bello non doverla più nascondere, come sarebbe bello non dover più nascondere i libri nell’armadio. Alice fa il mio stesso liceo, ma lei non vive in periferia. Lei vive in centro. Lei non ha bisogno di una borsa di studio per andare all’università. Lei, i libri, non li nasconde nell’armadio. Alice è l’unica ad aver creduto in me oltre a mamma e forse è per questo che l’amo. Quando sparisco e tutti si chiedono dove io sia, sono con lei. Non posso dire alla gente del mio quartiere che io e Alice ci frequentiamo, come lei non può dirlo ai suoi genitori. Perché? Perché non si può. Non si può e basta. Sono quei segreti che non vanno rivelati perché nessuno capirebbe. Forse è vero che visti da fuori siamo tanto diversi ma lei è l’unica anima non finta che mi tenga compagnia. Siamo d’accordo che riveleremo Il nostro segreto solo quando potrò lasciare questo posto per andare all’università. Perché lei crede in me e io credo che ce la farò. Credo che un giorno porterò via mamma da tutto questo. Via. Via da mio padre. Via dalla violenza. Via dal cemento armato dei palazzoni. Via dallo schifo. Via da qui.
17 agosto 2014
Il mio nome è Manuel e oggi compio diciassette anni. È una bella giornata. li Papa ha concluso la sua visita in Corea del Sud ed io sono un anno più vicino alla libertà. Il Tg delle 12.55 dice che l’esercito governativo in Ucraina ha abbattuto un caccia dei ribelli filorussi, ma a me non importa perché questo fine settimana lo passo con Alice. Ci siamo inventati una scusa e ci rifugiamo in mezzo all’arte di Firenze.
17 agosto 2015
Il mio nome è Manuel e oggi compio diciotto anni. Un anno. Un solo, velocissimo, brevissimo, fulmineo anno e poi sarò libero. Per sempre libero. Ho appena finito di leggere “L’antologia di Spoon River” e ho deciso che anch’io vorrò un riassunto poetico della mia vita, ma questo lo lascerò scritto da vecchio e ricco nonno sul mio testamento. Io ed Alice abbiamo passato un’estate meravigliosa lavorando in un bar di Milano. Ho assaggiato la libertà ed ora la brama ancora di più. lI Tg delle 18.55 parla dell’attento di Bangkok, ma a me non importa perché sono due giorni che mio padre non picchia la mamma e lei riesce a sorridermi senza rischiare di tirare troppo la pelle su tagli e lividi,
17 agosto 2016
li mio nome è Manuel e oggi compio diciannove anni. Poco fa è arrivata una lettera dall’università. Ce l’ho fatta. La borsa di studio è mia. Da stanotte sarò libero. Quando ho letto la lettera ho indossato i miei vestiti migliori, quelli da cerimonia, ho tolto le lenti a contatto e messo gli occhiali, sono andato a prendere Alice e l’ho portata nel mio quartiere. Mi sono messo al centro dello spazio che viene considerato la piazza tenendo la mano di Alice salda nella mia e ho urlato, con quanta voce e quanta forza ero in grado di urlare, che io SONO un secchione e che io amo Alice. Tutti gli abitanti del quartiere, che mi avevano sempre considerato uno di loro, mi hanno guardato per un tempo che è sembrato infinito. Il silenzio è sceso ed io ho condotto Alice nel mio appartamento e l’ho presentata a mia madre, Mio padre sarebbe rientrato verso le dieci di sera, ma per allora io sarei già partito. Poche ore alla libertà. Sono le 18.59, Alice e la mamma sono in cucina, io scrivo e il Tg delle 18,55 sta annunciando la scomparsa di un uomo in provincia di Pavese, ma a me non importa come al solito perché voglio scendere a fumare l’ultima Marlboro rossa della mia vita.
Giorno X del mese inesistente dell’anno che non so.
Non so dirvi che giorno è oggi. Non so più incasellare il tempo in secondi, minuti, ore, giorni, settimane, mesi, anni e tutto questo solo perché il tempo non mi tocca più. Non avrei mai dovuto fumare quell’ultima sigaretta. Sulla mia lapide non c’è un riassunto poetico della mia vita ma c’è scritto “Ora, sempre e per sempre libero”. Che veniva a trovarmi in cimitero, nel primo periodo, c’era un altissimo afflusso di persone piangenti, ma ora ci vengono solo due persone: Alice e mamma. Alice viene tutti i giorni, anche se ora vive a trenta chilometri dal cimitero in cui sono sepolto, viene e piange tanto. Mamma viene sempre meno, è sempre in carcere a salutare mio padre. t lui che hanno accusato e arrestato per avermi tagliato la gola. Per gli inquirenti è stato solo uno dei suoi eccessi d’ira. Tuttavia la verità è un’altra. La verità è che non è stato mio padre a tagliarmi la gola in una calda notte d’agosto che sapeva di libertà. La verità è che non è stato mio padre a lasciare il coltello serramanico che brilla di luce riflessa sulla mia tomba, nascosto sotto i fiori con cui Alice si premura sempre di incorniciare le mie foto che giacciono su quel marmo freddo e duro. La verità è che chi mi ha ucciso mi ha raccontato il perché tra le lacrime, sedendo sul prato del cimitero in cui giace il mio corpo, accarezzando una foto che ci ritrae insieme. La verità è che quel qualcuno mi ha ucciso perché credeva che, una volta capito che potevo farcela da solo, gli avrei voltato le spalle. La verità è che quel qualcuno viene tutti i giorni sulla mia tomba e mi racconta ciò che le è successo nella giornata, anche se abita molto distante. La psicologa le ha detto che soffre di sindrome della crocerossina ed è per questo che quando ha temuto di non essere più indispensabile per me mi ha ucciso. Non era in grado di accettare che io potevo amarla anche se non mi accudiva. Eppure ora comprendo che in parte aveva ragione. lo non so amare. lo non so cos’è l’amore. Nessuno mi ha mai insegnato né mi ha fatto provare o ha provato per me Amore. Con il termine Amore intendo quel sentimento puro e semplice che non fa male. lo conosco solo l’amore malato, il non-amore, e probabilmente avrei sperimentato solo quello poiché altro amore in vita non l’ho conosciuto. Vorrei che Alice sapesse che la perdono e che l’avrei amata comunque. Vorrei che Alice capisse che ora io e lei abbiamo un segreto nuovo, uno tutto nostro. Vorrei che la scritta sulla mia lapide venisse cambiata. Vorrei far capire a mamma che mio padre non è un uomo, è una bestia. Vorrei dare a mamma la vita che si merita e che non ha. So che non capirebbe che il suo è un amore malato perché finché non è troppo tardi non lo si riconosce, eppure vorrei poter ancora credere che io un giorno sarò qualcuno e che mamma sarà salva con me.
Il mio nome è Manuer e oggi, sempre e per sempre compio diciannove anni.