Relictum – Ciò che resta

RELICTUM – CIÒ CHE RESTA

Chiara Zanella

Liceo “Giovanni Prati”, Trento

 

O Cesare, è tuo questo sangue? Quello che mi cola addosso, che mi fa risplendere e addolorare allo stesso tempo?

Tuo o di quella madre che, in un tempo troppo remoto perché se ne possa conservare memoria, mi chiese aiuto nel dare la vita?

All’epoca erano state mani salde ed esperte ad afferrarmi, a far sì che il ventre della donna venisse lacerato e che il primo pianto di un nuovo essere si disperdesse nell’aria.

Le dita che mi stanno stringendo in questo momento -quelle del tuo figlio prediletto, colui che figlio non è, ma che tu consideri tale nonostante le divergenze- sono invece sudate e tremanti.

Gliel’avevi narrata, la mia storia, in un soleggiato mattino di settembre.

  • Questo coltello gli avevi detto, accarezzando la mia impugnatura con reverenza — è stato usato per far nascere colui da cui prendo il nome: Cesare. —

-Com’è possibile? – aveva sussurrato lui, gli occhi dal taglio ancora infantile spalancati per la sorpresa. —Non ha nessuna decorazione, né una forma ben definita. Come può essere che un oggetto così grossolano possa aver preso parte alla nascita di un tuo antenato? —

  • Non solo: ne è stato l’unico ed indiscusso protagonista! Ma non ti crucciare, Bruto, capirai presto che non tutto ciò che vale è rivestito d’oro. Sii invece grato al fatto che esso esista. Ha ricevuto la benedizione di Vulcano in persona. —
  • Davvero? — di nuovo quella nota stupita nella sua voce, ed io non avevo potuto fare a meno di sentirmi offeso.

“Ogni lama, coltello e oggetto mai uscito da una fucina è automaticamente benedetto dal dio”. Se avessi potuto parlare, è ciò che avrei detto. Purtroppo, però, questo dono non mi è stato concesso.

Ora, quel bisogno è ancora più impellente.

“Vattene. Hanno congiurato tutti contro di te. Vattene e vivi.”

Tu però sei troppo orgoglioso, non è vero? Troppo, per girare i tacchi e salvarti. Troppo, per ammettere che è stato il tuo senso dell’onore a portarti alla rovina.

In quell’ammasso di corpi e vesti eleganti riesci ad estrarre uno stiletto e, se potessi, riderei fra le lacrime.

Troppo orgoglioso anche per arrenderti, non è vero?

Cosa pensi di poter fare con quello?

Sono in troppi. Minimo cinque coltelli puntati contro di te.

Fa male realizzare che tra di loro ci sono anch’io.

Bruto non mi lascia andare.

Nel momento in cui abbiamo lasciato il foro non ha detto una parola, se non per rassicurare i complici che hanno agito indirettamente contro di te.

-Il dado è tratto — e le sue labbra si sono piegate in un amaro sorriso.

Voleva lasciarmi lì.

Ho percepito la sua esitazione quando ha dato le spalle al tuo cadavere ed ha cominciato ad allontanarsi.

Tutti gli altri hanno pulito i loro pugnali sulle tue vesti, una volta candide, in segno di disprezzo. Bruto non ha osato.

Io ho fatto di tutto per essere lasciato cadere sul pavimento, al tuo fianco, com’è sempre stato: sono diventato più pesante, talmente pesante da costringerlo a cambiare mano, e così facendo lo ho tagliato.

Un taglietto leggero sul pollice, ma abbastanza perché il suo sangue si mischiasse al tuo sulla mia lama.

Ho sentito il suo sguardo su di me, come se avesse capito, e per un istante ho esultato: “Lo vedi, Bruto? Riesci a vedere quanto sia sbagliato tutto questo? Permettimi di proteggerlo dalle ombre nel Regno della Morte, come non sono riuscito a fare in vita.”.

Lui però non ha ascoltato.

Cos’avrebbe dovuto ascoltare, poi? Il baluginio del sole su un pezzo di ferro? Il freddo dell’impugnatura che diventa ghiaccio a contatto con le sue dita?

Sono passati anni da quel giorno, e ancora si rifiuta di tenermi a più di un paio di piedi di distanza da lui.

 

Ha anche fatto in modo che la mia immagine venisse riportata su una moneta sostenendo così la tua uccisione, Cesare.

Per questo ancor di più lo ho odiato: perché io, io che sono stato il guardiano della tua famiglia da generazioni, io, che sono stato creato per tagliare la carne dei maiali affinché sfamasse la famiglia, e che ho invece inciso il ventre di una donna gravida, quando sembrava che il bambino non sarebbe mai riuscito a vedere la luce, io sono stato usato per portare morte e propagandarla.

Forse è vero che le armi possono fare del bene o del male a seconda di chi le impugna. Eppure, non posso credere di non avere voce in capitolo. Non lo posso accettare.

Ho deciso: sono stato il mezzo con cui tutto è iniziato e sarò anche quello tramite il quale finirà.

Bruto dorme sempre meno in questo periodo; si prepara ad andare a Filippi dove, con Cassio, combatterà contro gli eserciti di Antonio ed Ottaviano.

Lo colgo durante uno dei suoi rari momenti di sonno: parte di me scivola nella sua mente, in questo momento oscura, e la riempie di terrore.

Potrei scegliere di mostrarmi sotto le tue spoglie, ma decido di non infangare ancora la tua memoria. Ora sono un’ombra deforme, densa e fredda come il marmo.

Lo faccio sentire spaventato, inerme, in gabbia.

È una soddisfazione, per me, percepire la sua paura per ciò che potrebbe avvenire, e la faccio crescere e moltiplicarsi, ingigantirsi a dismisura…

Quando si sveglia, un po’ del suo sudore è sul filo della mia lama.

O Cesare, è tuo questo sangue? Quello che mi cola addosso, che mi fa risplendere e addolorare allo stesso tempo?

No, lo riconosco: è quello di Bruto, tuo figliastro e carnefice.

È finita, ma non come speravo.

Pensavo che sarei stato felice di vendicare la tua morte, ma il cuore che sto trafiggendo racconta un’altra storia.

La storia di un pugnale che non è mai stato più di un pezzo di metallo mal lavorato, senza “nessuna decorazione, né una forma ben definita”.

La storia di un pugnale che è passato di padre in figlio fino ad arrivare a un uomo troppo orgoglioso per cedere alcunché.

La storia di un pugnale che è stato usato per togliere la vita, e mai per preservarla. Non è vera, ma è pur sempre una storia.

Come la mia, che ora affido alle acque del fiume in cui sono stato gettato, in modo che possano sostituirmi con un regale stiletto al fianco di colui che mi ha usato per uccidersi.

Spero che questo racconto sopravviva più a lungo della mia lucentezza, che già comincia a sbiadire per lasciar posto alla ruggine, perché nonostante tutto ho il diritto di narrare la mia verità.

Nonostante io sia un coltello -o forse proprio per questo.