Il boato della folla è come un’iniezione di adrenalina nelle mie vene. L’illuminazione mi impedisce di osservare il pubblico, ma sono consapevole di come gli occhi di tutti siano su di me, li sento. Avanzo al centro dell’arena. Sono a piedi scalzi, un’abitudine nata in anni di allenamento nella radura a mezz’ora da casa. La sabbia del pavimento è tiepida, riscaldata dal calore delle fiaccole. Di fronte a me, a più o meno settantacinque passi, il bersaglio di legno. Con un diametro di circa due braccia, su di esso sono stati dipinti vari cerchi concentrici colorati, il più piccolo ampio appena come il palmo della mano di un bambino. Inspiro, stringo con più forza l’impugnatura del coltello, ed espiro, eliminando ogni rumore superfluo dalla mia mente. Prendo la mira. Lo lancio in aria, giro su me stesso, riprendo il pugnale al volo e lo scaglio con un movimento fluido. Adoro mettermi in mostra, cosa ci posso fare.
Impugnai un’arma del genere per la prima volta ad appena cinque anni. Mio padre finalmente mi aveva dato il permesso di entrare nella fucina ed osservarlo lavorare. Il modo in cui Radlor maneggiava il metallo fuso e lo plasmava in una delle lame più eccellenti del continente affascinò completamente il piccolo me. Papà, infine, mi regalò la sua creazione: uno splendido coltello a doppio filo, con il manico rivestito di pelle ed il pomolo a forma di giglio.
Quello stesso coltello si è appena conficcato nel centro esatto del bersaglio. Lo uso come scaramanzia per il primo tiro di ogni esibizione. Gli spettatori esultano. I miei assistenti, ad un mio cenno, tolgono il prezioso pugnale dal legno e me lo riconsegnano. Mentre poi allontanano il bersaglio di altri venticinque passi, infilo l’arma nel suo fodero. È stato fin troppo facile. Il prossimo lancio sarà più elaborato.
Un paio di anni dopo aver ricevuto il coltello, che ormai mi portavo dietro ovunque, mi accorsi di un fatto a cui non aveva mai fatto caso prima. Una delle particolarità del metallo di cui era composto il coltello era il suo colore: non ne aveva uno preciso, ma era iridescente e di solito cambiava a seconda dell’angolazione da cui era guardato. La cosa che notai, passeggiando in giro per la foresta attorno a Zeart, il villaggio dove abitavo, era che il pugnale tendeva al viola prugna se andavo verso sud, se invece mi dirigevo a nord la sfumatura diventava più vicina all’acquamarina, verso sud-ovest assumeva una tonalità sul rosa antico. E questi erano solo i colori principali. Così, un giorno, decisi di seguire il color viola prugna e, dopo ore di ricerche e migliaia di passi, giunsi in una radura, dal cui terreno spuntavano centinaia di Gigli di Fuoco, una rara varietà dei Gigli di Neve, nonché il lago della Fucina Inadan. Li presi come un segno del destino: qualcuno o qualcosa voleva che arrivassi proprio in quel luogo.
Il primo coltello che tiro si infilza nel centro. Ovviamente.
La prima volta che feci un centro perfetto gridai così forte dalla gioia da far scappare gli uccelli posati sugli alberi vicini. Ci avevo messo ben otto mesi di allenamenti per riuscirci. Superato quello scoglio, i progressi successivi si verificarono in fretta. Un paio di lune dopo colpivo senza problemi il bersaglio da una distanza di cento passi. Nel giro di un anno da quel momento, avevo imparato i tiri ad effetto. Passato un altro anno, trovavo qualunque tipo di bersaglio mobile fin troppo facile. Così passai ad allenarmi con ogni genere di possibile impedimento: entrambe le mani legate tra loro, pesi enormi sulle braccia, trasportando una persona, o meglio, un manichino delle dimensioni di una persona sulla schiena …
Il secondo coltello si incastra sul largo pomolo di legno del primo, costruito apposta per questo motivo. Il pubblico applaude.
Il mio nono compleanno era un momento molto atteso da tutta la Fucina Inadan: era considerata l’età giusta per imparare tutto sulla metallurgia e conoscere il segreto del Naleran, il misterioso e raro metallo con cui era stato forgiato il mio adorato coltello. Da quel giorno mio padre mi insegnò tutto quello che sapeva riguardo alla lavorazione dei minerali, fino ad un paio di anni fa, quando la malattia che l’aveva colpito gli impedì completamente di alzarsi dal letto.
Il giorno in cui incontrai le due persone che mi cambiarono la vita cominciò normalmente. Mi ero alzato prima dell’alba, avevo controllato che tutto nella Fucina fosse in ordine, avevo preparato la colazione per la mia famiglia ed ero uscito per raggiungere la Radura dei Gigli di Fuoco. Intravidi un lupo dorato, ma fuggì appena si accorse della mia presenza. Dopo aver superato le Cascate Aralt grazie al passaggio segreto dietro di esse, arrivai in pochi minuti. Credevo di essere l’unico a conoscere quel luogo quasi magico, quindi rimasi parecchio sorpreso della presenza di due sconosciuti addormentati in mezzo ai fiori. Mi avvicinai lentamente, brandendo il coltello. Li svegliai mentre tenevo il pugnale vicino alla gola della ragazza, ma dopo poche frasi capii che non erano pericolosi. Si presentarono come Leo, un inventore, e Nym, una ladra. Il ragazzo rimase sconvolto quando scambiai il suo polpo domestico, Octo, per il loro pranzo. Mi sentivo in colpa ad abbandonarli nella Foresta, considerando che tra le varie fiere che la popolano non ne sarebbero usciti vivi senza di me, così mi offrii di accompagnarli a Zeart. Durante il viaggio, incalzato dalla curiosità di Leo, finii a raccontare anche della malattia di mio padre. Disse di non volermi illudere, ma nella città da cui proveniva, Caurn, esisteva una cura. Pur di guarirlo, accettai di partire con loro il giorno seguente.
I miei assistenti posizionano un separé di carta tra me e il bersaglio.
Il modo più veloce per farmi avere la medicina per mio padre era trovare Sharad, il precedente padrone del polpo, che ci avrebbe consigliato delle scorciatoie per raggiungere i luoghi che preferivamo in tempo record. Almeno, questo era ciò che Octo aveva fatto capire a Leo. Non mi feci domande. Rimasi stupito nello scoprire poi che quest’uomo altri non era che il proprietario del Circo Kelshy, il più celebre del mondo. Costui fu subito disponibile nei nostri confronti, fornendoci ogni cosa di cui necessitavamo.
Un paio di giorni dopo ci apprestavamo a partire finalmente per Caurn, quando «Giovane Ryn», mi chiamò Sharad. «Se mai avessi bisogno di un luogo in cui stare, qui c’è sempre un posto come lanciatore di coltelli vagante.» mi fece un occhiolino. Lo ringraziai. «Non serve che mi rispondi adesso, prenditi tutto il tempo che ti serve».
Come se questo semplice ostacolo possa farmi sbagliare. La folla rimane meravigliata quando il coltello trapassa la carta e si conficca sul pomolo di quello precedente.
«Mi spiace, ma non posso restare a guardarti morire senza fare niente. Non fermarmi.»
Erano state le ultime parole che gli avevo rivolto. Non approvava la mia decisione di andarmene in un momento per lui e per la famiglia così critico, nonostante fosse per una concreta possibilità di salvarlo.
Mi pento ancora immensamente di non essere riuscito a tornare a Zeart in tempo almeno per l’estremo saluto.
Quando due settimane dopo la partenza giunsi con la medicina al mio villaggio di nascita, lo trovai bardato a lutto. Mio padre era deceduto un paio d’ore prima. E con lui era morta anche una parte di me.
Ricordando questi dolorosi eventi, una lacrima mi solca la guancia. Ormai manca poco alla fine del mio numero, solo un altro lancio. Il coltello che sto per usare me l’ha regalato Nym per il mio diciottesimo compleanno, in un raro momento di dimostrazione d’affetto.
Le lettere incise sulla pietra della lapide divennero sfocate. Sbattei velocemente le palpebre un paio di volte, per scacciare quella sensazione pungente. Una goccia d’acqua mi scivolò sulla guancia. Piove? mi chiesi. Alzai gli occhi al cielo per controllare, trovandolo, esattamente come meno di cinque minuti prima, grigio plumbeo, ma senza accenni di pioggia. Mi sfiorai lentamente la pelle umida. Una lacrima? Avevo fatto il possibile per trattenerle, non potevo assolutamente cedere adesso. Non davanti a tutte quelle persone, non davanti a mia madre, soprattutto non davanti alla mia sorellina, la quale mi aveva sempre guardato come una figura da cui prendere esempio. Come se avesse letto i miei pensieri, Arina mi si avvicinò e mi posò una mano sulla spalla, sussurrandomi all’orecchio dolcemente: «Tesoro, nessuno ti giudicherà se piangerai. Qui tutti soffriamo per la morte di tuo padre». Mi lasciai sfuggire un singhiozzo, e in pochi secondi non fui più in grado di trattenermi. Scoppiai in un pianto dirotto. Neyss mi abbracciò da dietro in silenzio, appoggiando la fronte sulla mia schiena.
Per mesi girovagai per casa come lo spettro di me stesso. Non provavo nulla se non un profondo vuoto. Un giorno, osservando il mio riflesso sul pugnale, mi spaventai non riconoscendo i miei stessi occhi. Quello non ero io. Decisi, anche se nel profondo lo avevo sempre saputo.
Un altro centro. Un altro applauso. Vorrei che mio padre potesse vedermi.
«Sharad?» lo chiamai, scostando la tenda per entrare nella sua roulotte.
«Giovane Ryn! Che piacere vederti!» mi accolse allegro l’uomo. «C’è qualcosa di cui vuoi parlarmi?»
«Sì… io- ecco, io…» balbettai, improvvisamente nervoso. Sto davvero per farlo? «Io ci ho pensato.» Ok, prima frase andata. «La… uhm, la proposta che mi hai fatto è ancora valida?» buttai fuori tutto d’un fiato.
Il suo volto si distese in un ampio sorriso. «Certo.»
Lo spettacolo è finito. Mi inchino tra gli applausi. Alcune persone mi lanciano dei fiori. Uno di questi è un Giglio di Fuoco. Lo raccolgo e lo annuso: profuma di casa. Mi lascio sfuggire un sorriso. Le luci si spengono ed il Circo piomba nel buio.