SPETTRALE AUTUNNO
di Giulia Andreoli
Istituto Comprensivo Sondrio Centro – Sondrio
Era una fredda giornata d’ottobre, ma Arnie e Mary uscirono, comunque per la loro passeggiata pomeridiana nel bosco. Camminare in mezzo ad una sterminata foresta canadese era un affascinante spettacolo dai colori caldi, che le ragazze adoravano osservare insieme. Fra di loro regnava il silenzio, come per un doveroso rispetto verso la natura che avevamo la fortuna di ammirare. L’unico fragile rumore che si udiva era lo scricchiolare delle foglie secche sotto i piedi delle due amiche, che inspiravano a pieni polmoni il profumo delle piante bagnate di rugiada. Ad un certo punto Arme disse a malincuore: – Forse sarebbe meglio tornare a casa, ora…
Mary, dopo averla guardata sconsolata con i suoi enormi occhi da cerbiatto, si arrampicò su un pendio, e si sedette sul masso su cui le due amiche erano solite sostare sin da quando erano bambine. L’amica la raggiunse e si accovacciò vicino a lei, ammirando il paesaggio che si estendeva ai loro piedi, al di sotto dello strapiombo. Iniziarono a parlare e a confidarsi come fanno tutte le adolescenti e, quasi all’improvviso, venne buio. Le due giovani si alzarono in piedi di scatto, pulendosi la terra dai jeans, e, un po’ spaventate, iniziarono a camminare velocemente verso casa, stringendosi forte la mano. Si lasciarono solo per attraversare il ruscello, ma quando Anne si voltò per essere sicura che Mary fosse accanto a lei, vide che l’amica era scomparsa. Così tornò indietro correndo, il vento gelido che le sferzava il viso e le ululava nelle orecchie, quasi si prendesse beffa di lei. Un tuono ruppe il silenzio e un lampo squarciò il cielo, prima che le nubi scure riversassero tutta la propria ira sulla terra mediante una pioggia torrenziale. Dopo pochi secondi i suoi vestiti e i suoi capelli erano zuppi, e l’acqua, che scendeva senza sosta, si mescolava alle sue lacrime. Anne iniziò a gridare il nome dell’amica, cercando inutilmente di sovrastare lo scrosciare incessante della pioggia. Con le scarpe piene d’acqua, i capelli incollati al volto e gli abiti fradici che le impedivano i movimenti, notò in lontananza un’enorme casa abbandonata. Correndo sfrenatamente la raggiunse. Gli alberi intorno ad essa gettavano ombre spettrali sul viso di Anne che, con le mani tremanti per il freddo e la paura, tentava di girare la maniglia di ottone dell’imponente portone d’ingresso. Presa dal panico perché la porta pareva chiusa a chiave, vi si accasciò contro, singhiozzando, e, come per magia, questa si spalancò, facendo cadere la ragazza sul freddo pavimento di marmo. Con il cuore che ancora le martellava in gola, si alzò lentamente e chiuse il portone appoggiandoci il proprio corpo. Cercando di calmare l’affanno, restò ferma, immobile, la schiena contro il legno massiccio e gli occhi chiusi. Una volta più tranquilla, tentò di tornare alla razionalità che le apparteneva. Decise che doveva assolutamente trovare dei vestiti asciutti e dell’acqua calda; così, intimorita dall’immensità di quell’inquietante abitazione, si incamminò verso le imponenti scale sulla sinistra del salone, e iniziò a percorrerle. Giunta a metà, notò un gigantesco specchio appeso alla parete: la superficie, un tempo trasparente, era incrostata di una sostanza che alla ragazza parve sangue. Un brivido di ribrezzo la percorse e Anne si affrettò a raggiungere il corridoio sovrastante. Trovò dei lussuosi servizi di marmo bianco con rifiniture d’oro, nei quali scaldò il proprio corpo minuto e tremante con un rilassante bagno caldo. Una volta uscita dalla vasca e abbandonati i vestiti nel prezioso lavandino, iniziò ad aggirarsi per la casa cercando una camera da letto che non tardò a trovare. Al suo interno un imponente letto a baldacchino era affiancato da un enorme armadio di mogano, in cui Anne trovò, in mezzo ad una serie di elegantissimi abiti ottocenteschi, una sottoveste color panna di lino in stile impero da indossare. Una volta pronta, si sedette alla scrivania che torreggiava nella stanza e, incuriosita, iniziò a frugare in uno dei cassetti, da cui estrasse delle vecchie fotografie in bianco a nero. Quasi tutte ritraevano una bellissima giovane insieme a tre bambini, un maschio e due femmine. Improvvisamente, un’immagine terrificante la fece immobilizzare: in una delle foto, la donna era seduta sul letto della stanza in cui si trovava Anne e, con fare affettuoso, stringeva i suoi tre figlioletti; ma i tre piccoli avevano tutti la gola squarciata, probabilmente dal pugnale che la madre teneva appoggiato sul panneggio dell’abito. Sulla parte inferiore della fotografia c’era una scritta rossa che recitava: “Ecco le mie bambole”. Inorridita, Anne saltò in piedi e, istintivamente, le sue mani corsero al medaglione antico regalatole dalla sua mamma, mentre un grido involontario le usciva dalle labbra. Con la testa che le girava spaventosamente, entrò nel locale di fronte alla stanza in cui si trovava, come attirata da quella porta in particolare. Essa si richiuse da sola con un tonfo e lei si ritrovò in una camera completamente piena di specchi. Terrorizzata e spaesata dalla sua immagine riflessa dappertutto, si guardò intorno e le sembrò che dalle superfici vetrose colasse del sangue, denso e scuro, che le bagnava i piedi. E poi la vide: era lì, la donna delle foto, che fluttuava a mezz’aria, sorridendo maligna e stringendo con le dita affusolate il manico di un pugnale affilato. Lo spettro iniziò a volarle intorno vorticosamente, ridendo in modo agghiacciante. Anne cadde per terra, inciampando, e cercò di strisciare in un angolo, mentre la donna impugnava l’arma sovrastandola. Dopo averle appoggiato la lama fredda sul collo, sibilò: – Hai violato la mia casa; e, ancora peggio, la stanza di una delle mie piccole bambole! Come hai osato? Proprio mentre la donna alzava il braccio per sferrare il colpo, Anne toccò il suo ciondolo, e la sagoma scomparve nell’aria, lasciando cadere il pugnale. Senza perdere tempo corse fuori dalla stanza, percorse le scale e si lanciò fuori dal portone d’ingresso. Con i rovi che le ferivano le braccia, le pietre che le tagliavano i piedi nudi e il vento che la sferzava, uscì dal bosco e, finalmente, arrivò a casa. Si buttò sul letto, piangendo, ancora scossa e, anche se tentò di rendere la sua storia il più credibile possibile, nessuno le credette. Nemmeno Mary, la sua più cara amica, che la stava aspettando da qualche ora. Era un caldo pomeriggio di giugno e la sua mamma la stava chiamando per la merenda in giardino. Arane si affrettò ad appoggiare il libro che stava leggendo sulla scrivania della sua camera, ma una fotografia cadde da una delle pagine. Lo spettro che tanto l’aveva terrorizzata se ne stava seduto sul “loro” sasso con in mano un pugnale che accarezzava con dolcezza, quasi fosse un neonato.
L’incubo non era ancora finito.