I COLTELLI DELLA VITA
Una composizione intensa e drammatica con protagonista l’assistente di un lanciatore di coltelli. La scrittura è solida, repentina, caustica; le riflessioni intorno alle lame e al mestiere diventano allegoria delle ferite della vita, della sua ciclicità, delle miserie e delle debolezze umane, degli errori che conducono ad un impietoso destino. (dal Verbale di Giuria)
I COLTELLI DELLA VITA
di Amanda Dionis
Liceo Scientifico Oberdan – Trieste
Il mio nome è Jack e la mia vita è come lo spettacolo di un circo scadente. Puoi provare a rimanere in piedi sul trapezio, ma alla fine gli elefanti ti schiacceranno e morirai. Oppure sarai infilzato dai coltelli. I coltelli. Le lame sono così affilate che taglierebbero qualsiasi cosa. I coltelli della mia vita rischiano di uccidermi ogni giorno. Passano ad un millimetro dalla mia testa, ma non mi prendono mai. Almeno per ora. Proprio come al circo, con la ragazza sulla ruota che gira e gira e l’uomo che cerca di non prenderla. Solo che al posto della ragazza ci sono io. E quell’uomo un trucco ce l’ha. Il mio lanciatore no, o forse lo nasconde bene. Deve essere uno di quelli che fa l’imbranato, ma che un po’ di talento ce l’ha. Sembra sempre sul punto di sbagliare, ma alla fine non mi centra mai. Deve divertire molto il pubblico. Il mio lanciatore non ha mai sbagliato. Almeno per ora. I coltelli mi hanno sempre affascinato. Fin da piccolo. Quando mamma si distraeva, anche solo per un attimo, io mi fondavo in cucina, ne prendevo uno e mi ci punzecchiavo il pollice, per vedere quanto fosse affilato. Poi arrivava mamma, tutta preoccupata, e me lo toglieva dalle mani. Mi faceva una ramanzina di un’ora e mezza. Aveva sempre paura che mi tagliassi, che mi ferissi. Poi mamma è morta. E nessuno si è più preoccupato dei miei tagli. I coltelli mi fanno sentire sicuro. Loro ci sono, mi aiuteranno quando dovrò difendermi. Non come le persone. Le persone ti voltano le spalle appena possono, ti stanno vicino finché va tutto bene, poi se ne vanno. I coltelli, come tutti gli altri oggetti, restano. Ne ho sempre uno in tasca, quello preferito del nonno, nel caso servisse. Il vecchio ci intagliava statuette, con quello. Faceva delle meraviglie, dava forma alle idee che aveva in quella testa strana che nessuno ha mai capito davvero. Certo, il suo era uno scopo molto più nobile del mio, dopotutto. Ma d’altronde non sono mai stato bravo a fare belle cose, io. Anche il nonno se ne è andato. Rapina in casa, via la refurtiva e lui si è ritrovato con un coltello nel petto. La lama gli ha trapassato il cuore. Il suo lanciatore ha sbagliato. Ha colpito il bersaglio. Il mio non ancora. E stato il vecchio a trasmettermi la passione per i coltelli. Qualcosa di così pericoloso, letale, nelle sue mani era come il pennello per un pittore. Era lo strumento per fare qualcosa di magnifico. Lui, coi coltelli, faceva magie. Io no. Solo problemi. Mentirei se dicessi che non li ho mai usati per scopi deplorevoli. Le ore si accumulano, diventano giorni che formano mesi e anni. Formano un sacco pesante che ti devi portare dietro. E quel sacco è pieno di dolore, delusione e ferite da coltello. Ma la ruota gira, e gira, e gira, e il lanciatore non sbaglia. Ma la vita è sempre in bilico. Come un pezzo di legno bruciacchiato in un equilibrio precario sulla lama di un coltello. Un attimo e sei sotto. Un attimo e sei morto. Devi esser sempre attento, sempre vigile. Gli amici non esistono, le persone non ti vogliono bene. L’amore è una sciocca storiella inventata per i creduloni di turno. Le persone vogliono solo creare situazioni dove sei in debito con loro. Vogliono avere il coltello dalla parte del manico. E la lama te la becchi tu, dritta nello stomaco o, se ti va peggio, al cuore. O alle spalle, quando meno te lo aspetti. Un classico. I giorni passano e il lanciatore non sbaglia. O almeno, non ancora. Ma sappiamo tutti che non può andare avanti così all’infinito. Ad un certo punto si distrarrà e ti colpirà. Perché è così che deve andare. Con la vita che faccio, è strano che io non sia già morto. Ma il lanciatore sbaglia. E la lama fa male, dilaniala carne e ti ricopre di sangue. Il sangue è caldo. Ti dà quasi una sensazione di casa, come a prenderti in giro m’ultima volta: ‘Va tutto bene” e intanto stai morendo. E la lama fa male. La lama la conosco. E quella del nonno, il suo pennello magico. Non pensavo potesse fare così tanto male. Ma alla fine è successo. La ruota ha girato, il lanciatore si è sbagliato. Chissà, forse è stato distratto da qualche bella ragazza là, ad assistere al suo spettacolo. Si, perché io, nel circo della mia vita, valgo poco più di un sacco di spazzatura. Nessuno si preoccupa della mia morte. Forse si stanno sorridendo, il lanciatore e la ragazza, e lei starà abbassando lo sguardo, imbarazzata. Sono contento per lui. Avrà di meglio da fare adesso che stare dietro a me, destinato a morire già da un pezzo. E alla fine c’è tutto. Morirò proprio come il nonno, ma coi tagli che mamma aveva tanto temuto mi facessi. Morirò proprio come sarebbe dovuto succedere tanto tempo fa. L’amato coltello del nonno è lanciatore sbaglia. In questo vicolo freddo, tutto perde senso. Passi veloci corrono via. Non li conoscevo neanche, quelli che mi hanno ammazzato. Ma no, alla fine so che non mi hanno veramente ucciso loro.
I coltelli che tanto amavo, che tanto mi affascinavano, l’hanno fatta finita una volta per tutte.