di Giovanni Dolso
Liceo Scientifico Statale “N. Copernico” – Udine
…bip, bip, bip, bip, bip…
Il mio battito è regolare, la macchina mi misura la pressione, tutti i parametri sono nella norma. I medici sono pronti a operare e io sono pronto per essere operato. Le infermiere mi hanno legato braccia e gambe e alzato un telo davanti al viso in modo tale da non farmi vedere nulla; da una parte mi consola, ma dall’altra mi preoccupa non poter vedere ciò che avviene al mio corpo, non poterne essere padrone come lo sono stato per tanti anni, anche se da tempo non lo sono più.
Ore 13.05
I medici cominciano facendomi l’anestesia; sento l’ago penetrarmi nella carne, per poi uscirne violentemente, questo esattamente per cinque volte.
Io intanto faccio ciò che faccio sempre: mi isolo nella mia mente e canto; canto una canzone della mia infanzia, l’ho imparata alle elementari …”Angiolina cammina cammina sulle sue scarpette blu, carabiniere l’ha innamorata, volta la carta e lui non c’è più, carabiniere l’ha innamorata, volta la carta e lui non c’è più”… Mi sovvengono alla mente tanti ricordi: il giardino della scuola, le corse con Stefano, il mio amico di vita, il sorriso della maestra… Chissà se li rivedrò, se riabbraccerò i miei genitori all’uscita di questa sala, o se la malattia mi divorerà, se il mio corpo lotterà ancora o si piegherà alla lupa che mi dilania. Intanto il mio braccio destro viene nuovamente stretto dalla macchina per la pressione: è già la quinta volta.
Immagino un pesciolino che entra in un acquario.
Ore 14.45
È passata un’ora e quaranta, ma non sono passati cento minuti, soltanto venti, venti misurazioni della pressione, venti volte cinque minuti. I medici sono intenti nel fare il loro mestiere, mentre una delle infermiere cerca di distrarmi domandandomi del mio futuro. Non capisce che io non so se avrò un futuro, se potrò realizzare i miei sogni e le mie idee, se avrò mai una famiglia, se amerò mai veramente una ragazza… Comunque le rispondo con la gioiosità che mi contraddistingue e per qualche minuto spezzo il silenzio angoscioso che mi pervade la mente.
E il secondo pesciolino entra nell’acquario.
Ore 15.35
Altre 10 strette dello sfigmomanometro sono passate, ma i chirurghi non accennano a smettere. Ora li sento frugare dentro di me, sento le loro mani, le loro dita lattiginose muoversi per togliermi quel male che da tempo mi affligge, un male che non si accontenta di consumare il mio corpo, brama anche la mia anima. Un rumore metallico attira la mia attenzione e volgo lo sguardo verso quella fonte di distrazione inaspettata: è caduto un bisturi e si è talmente allontanato dal mio corpo che mi è possibile vederlo. La lama d’acciaio temperato è ricoperta del mio sangue, una melassa rossa e viva che si contrappone al manico lucente e asettico, privo di tutto, inerte. Non concepisco come uno strumento di tale perfezione, capace di guarire un corpo con un semplice taglio, possa invece fare tanto male qualora cada nelle mani sbagliate.
E il terzo pesciolino entra nell’acquario.
…bip, bip, bip, bip, bip…
Ore 17.40
Dopo cinque ore d’intervento sento che il mio corpo sta cedendo al peso del macigno che mi schiaccia.
Non so quanto ancora potrò resistere. E quanto vorrò farlo? A prescindere dal dolore che proveranno quelli che mi amano, cosa mi trattiene: non certo il dolore fisico che respira con me, non certo le altalenanti speranze, soffocate da cocenti delusioni, non certo la solitudine della malattia.
E allora ben venga un bisturi affilato, una cesura netta, pulita, sublime nella sua perfezione, venga a separarmi dal mio corpo, mi liberi da un involucro che mi opprime e mi consenta di respirare.
E il quarto pesciolino entra nell’acquario.
Ore 18.05
Sento la pressione e il battito rallentare, il mio corpo mi suggerisce un nuovo ritmo e il mio cervello una nuova canzone, questa volta non parla d’amore, ma di morte:”…dormono, dormono sulla collina, dormono, dormono sulla collina…”. Questa musica che ha accompagnato tanti pomeriggi ospedalieri mi consola e mi ricorda che la collina aspetta tutti, nessuno può cambiare quest’unica certezza della vita.
Così mi lascio andare e il quinto pesciolino entra nell’acquario.
Ora anche io sono nell’acquario.