di Valentina Milokanovic
Istituto Comprensivo Divisione Julia – Trieste
Anche quella giornata si stava spegnendo con il consueto rituale.
Michele aveva finito di sorbire la zuppa, ma, per annegare i suoi problemi, gli serviva molto di più. Quando il soggiorno tornò deserto e i suoi familiari si furono dileguati, ciascuno nella propria tana, si sentì finalmente solo e potente. Così si avvicinò alla credenza, scostò qualche inutile suppellettile e riportò alla luce l’oggetto più caro, l’alleato fedele di tante battaglie combattute contro quel languorino che lo tormentava ogni sera, prima di abbandonarsi al sonno.
Con la sua forma triangolare, così netta e scolpita, la paletta della nonna buonanima sembrava robusta come la cazzuola del muratore, e intrigante come il becco di una papera, pronta a tuffarsi nella sua palude. Invece era solo il pezzo di un vecchio servizio da dolce, dalla linea rustica, un po’ naif, con il manico di ceramica a fiori e la lama arrotondata dagli anni.
La paletta affondò nell’ultima fetta di Saint Honoré, il ventre si sentì sazio e ringraziò.
E calò il buio.
Ci sono incubi in cui affronti le tue paure più grandi, i tuoi nemici, e ci sono sogni in cui affronti la realtà, scopri che le cose belle e che ti piacciono ti avvelenano e non te ne accorgi, finché non è troppo tardi per cambiare strada. Quella notte un sogno perfetto diventò un incubo.
Michele stava dormendo nel suo vecchio letto di legno d’abete, ormai piuttosto usurato.
Michele sognava. Nel sogno stava divorando una torta intera di cioccolato e panna, senza preoccuparsi di nulla. C’erano solo lui, Michele, la paletta cromata e la torta.
Nient’altro poteva renderlo tanto felice.
Il ragazzo non aveva lasciato nemmeno una briciola di dolce, anzi, si era messo a leccare pure il piatto, e poi le dita: ingordo com’era, aveva infatti ingoiato tutto senza usare le posate. I bocconi saltavano dalla paletta alla gola, passando qualche volta nelle mani umide. La cucina sembrava deserta. Nessuno avrebbe potuto interrompere un’attività tanto appetitosa e appagante. Nessuno …Nel sogno di Michele a un tratto era comparsa una bilancia.
A prima vista, Michele si era sentito confuso, poi era rimasto spiazzato, quando quello strano arnese aveva iniziato addirittura a parlare.
“Ti ricordi di me, vero?” La bilancia sembrava parecchio infuriata. Anche se gli parve inquietante che una bilancia potesse comunicare, Michele decise di avviare il dialogo.
“Sì che mi ricordo di te … Lo sai che io non ti dimenticherei mai!” sussurrò il ragazzo, quasi piagnucolando.
“Me ne sono accorta. Ogni volta che mi calpesti, mi distruggi un ingranaggio! Ma ti sei visto allo specchio? Sembri un maiale che sta in una fattoria! Anzi, i maiali hanno una loro dignità, perché sono così per natura, ma tu … tu sei OBESO! Ormai non entri neppure dalla portiera dell’auto né per la porta dell’ascensore: fai fatica a passare, difatti so che ti infili, camminando su un fianco.”
La voce della bilancia aveva un’inflessione familiare. Era un po’ roca, cantilenante … Sporco suino … Porca paletta: Marco, quello spilungone di suo fratello, l’aveva chiamato così da sempre … Lo faceva sentire così goffo e inutile.
Aveva ragione, però. Michele era spiazzato a sentire tante verità tutte insieme.
Non aveva vie di fuga. Sapeva di essere obeso, ma d’altronde non si era mai immaginato magro. Non era mai riuscito a seguire una dieta che durasse più di qualche ora. Il cibo era una calamita per i suoi occhi.
Michele non si piaceva. Si odiava, così si consolava con il cibo piuttosto di condividere con qualcuno la sua vergogna. Aveva scorte di cibo ovunque: sotto il letto aveva stipato pacchetti di patatine e biscotti, nei cassetti dell’armadio conservava vari tipi di cioccolata, mentre sotto la scrivania nascondeva merendine per tutti i gusti.
La bilancia non aveva ricevuto risposte, così aveva deciso di continuare il suo monologo: “Lo so che non è facile dimagrire e che serve molto tempo per riuscirci, ma, per avere successo, occorre soprattutto forza di volontà. Se vuoi rimetterti in forma, smetti di ingozzarti di merendine, cioccolata, patatine, biscotti, e inizia ad alimentarti con frutta e verdura” Michele sembrava più triste che mai. Ora la bilancia parlava come sua madre. Che delusione per una mamma giovane, taglia quarantadue, farsi vedere in giro con un figlio simile a un cinghiale imbronciato … Chi se lo filava uno come lui?
Avrebbe voluto essere popolare, con una squadra di amici, con almeno mille followers su instagram, invece neppure a scuola aveva uno straccio di compagno che lo invitasse per la merenda. Si tempestava di domande ogni sera nel silenzio assordante della sua stanza.
Si rivolse alla bilancia con aria di profonda mortificazione: “Tutto ciò che hai detto è vero. Il fatto è che io cerco conforto in quei cibi ogni volta in cui sto male dentro. Ormai si è creato un circolo vizioso dal quale non riesco a uscire. Ho perso ogni speranza di ritornare bello e snello. Ormai ho deluso tutta la mia famiglia e i miei amici, molti dei quali si sono allontanati da me.”
Michele si era confidato per la prima volta con qualcuno: anche se stava vivendo un sogno, si sentiva comunque più leggero.
La bilancia sfoderò un sorriso a trecentosessanta lancette: quell’espressione trionfante, un po’ finta, l’aveva già vista su un altro volto … Certo, la dottoressa del distretto aveva la stessa faccia piena come la luna, quando dispensava le sue ricette infallibili…La bilancia sembrava in procinto di pronunciare una formula: “Siccome hai aperto gli occhi davanti a questa dura realtà, io ti aiuterò a diventare snello con semplicità. Dovrò però essere sicura, che non proverai più a rimpinzarti di cibo spazzatura!” Michele aveva ormai iniziato a piangere dalla gioia, e, nel frattempo, le aveva gridato forte il suo giuramento: “Te lo prometto!” Grazie a un’altra misteriosa magia, Michele aveva assunto l’aspetto di un ragazzo magro e scattante. Era finalmente felice, circondato da tanti amici vecchi e nuovi, quando… “DRIIIN!!! DRIIIN!!!DRIIIN!!!” Michele scattò in piedi, poi corse in bagno, davanti allo specchio.
Pianse lacrime amare, tanto che iniziò a singhiozzare.
Era stato solo un sogno. Per la rabbia sferrò un calcio alla bilancia che si trovava vicino allo specchio e poi si rinchiuse in camera con la sua disperazione.
Anche quel giorno si fece vivo il solito irresistibile languorino, così ancora una volta Michele lo accolse senza opporre resistenza. Era deluso. Allora si lasciò consolare dal velenoso dolce sapore di una merendina al cacao. Poi si ricordò della torta di panna.
Impugnò l’immancabile paletta come fosse un pugnale. Colpì gli strati, che franavano senza controllo. Alla fine ripulì esausto la lama.
Il freddo e metallico sapore sulla sua lingua gli aveva procurato un piacere oscuro. Michele sfilò dalla sua bocca di cioccolata il gelido coltello. Lo guardò bene, passando e ripassando le tozze
dita sulla lama seghettata. Un bel sospiro, poi il filo della lama sfiorò la carne tenera del polpastrello …
Affondò deciso nel palmo di burro: un rivolo rosso disegnava il percorso tortuoso della linea della vita.